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La vita in tempo di... noia.


LA VITA IN TEMPO DI PACE

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Francesco Pecoraro

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Ponte alle Grazie, 2013

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Pag. 509

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Letto perché: ottime recensioni

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Su questo romanzo non voglio spendere troppe parole. Ne ha già sprecate in abbondanza l’autore, ne hanno sciupate a sufficienza critici e colleghi, parlato a vanvera nei salotti letterari – in particolare quelli romani.

Céline, Gadda, Svevo, Montale, Orwell, Roth, Houellebecq, Flaubert…

A chi non è stato paragonato l’autore!? Forse a se stesso.

Andiamo alla trama: attesa in aeroporto per un viaggio di ritorno dall’Egitto; il settantenne ingegner Brandani, alias Pecoraro, dall’imbarco in poi trascorre le ore a ripensare alla sua vita, ripercorrendola a ritroso. Fine.

In qualsiasi corso di scrittura creativa uno spunto narrativo del genere sarebbe stato tacciato come elementare, banale, inopportuno, assolutamente inutile, grottesco, forse. Sicuramente ingenuo. Paragonabile al risveglio dal sogno come eventuale finale di un racconto. Improponibile.

Non è stato così per gli editor dell’ottima Ponte alla Grazie e per i tanti critici che hanno incensato il romanzo. Nonché per i lettori a cui è piaciuto, che rispetto anche se hanno avuto una sensazione diversa dalla mia.

Io, personalmente, mi sono ritrovato a leggere con fatica l’autobiografia mascherata di Francesco Pecoraro: 500 pagine di elucubrazioni, riflessioni strabordanti, pedanti, spesso ripetitive, ridondanti, noiose, poco interessanti, concetti già sentiti mille volte – a parte alcuni passaggi-chicca come le circa quaranta pagine dedicate alla descrizione di un aereo, alla bellezza di un aereo (???!). Roba da ingegneri aeronautici, forse. Ma neanche. Persino un pilota delle frecce tricolori avrebbe invocato pietà.

E poi i viaggi in Grecia, le memorie giovanili. Dalle immancabili vicende sessantottine – di cui nessuno aveva ancora scritto! –, all’infanzia nella Roma della Dolce Vita. E poi, la scoperta dell’amore! Fino ad arrivare all’afflizione per la triste vita matrimoniale del Brandani, che intanto diventa miserabile manager di successo.

Uno spaccato di storia italiana? No, per niente. Forse uno spezzatino di storia dell’autore.

L’autore che è stato definito chirurgico, torrenziale, avvincente.

Macché!

Potente? Tantomeno.

A mio parere la narrazione è senza piglio, noiosa. Il testo pretenzioso, e senza trama – non sempre questa è necessaria ma nel caso in questione è davvero imbarazzante, come spunto, la scansione del tempo e dei paragrafi.

Insomma. Buttare in un libro – definito romanzo – tutte le proprie disperazioni, le ossessioni, le opinioni, le esperienze, anche le più insignificanti, senza costruirci attorno un accurato impianto narrativo che affabuli il lettore legandolo emotivamente al personaggio, non è lavoro, secondo me, da grande scrittore. Il personaggio Brandani non si odia, non si ama, ma si subisce senza alcun effetto degno di nota, se non un continuo senso di perdita di tempo.

Naturalmente il mio è un parere inutile. Ma, d'altronde, reputo abbastanza inutile questa lettura, a cui – fuorviato dalla critica quasi unanime nei consensi – avevo affidato un'aspettativa infine disattesa: quella di imbattermi in un libro epocale.

Qui di epocale c'è solo la noia.

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