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Viene prima Carlo Conti, Annie Ernaux o il grande Real?


GLI ANNI

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Annie Ernaux

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L’orma, 2015

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Pag. 276

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Letto perché: scrittrice e romanzo osannati dalla critica europea. Premio Strega Europeo 2016.

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È risaputa la mia attenzione verso la Memoria, come è risaputa la mia convinzione che la scrittura sia il mezzo più potente per preservarla. Viene da sé l’alta aspettativa davanti a un romanzo che si pone l’intento di narrare mezzo secolo di storia intrecciando gli eventi che si susseguono dal secondo dopoguerra ad oggi alle vicende personali dell’autrice.

Mi affascinano i romanzi di questo tipo, ma il testo della Ernaux – uscito in Francia nel 2008 e accolto come libro epocale e originalissimo nello stile – è pressoché illeggibile. Un estenuante elenco “Carlocontiano” di immagini. Didascalico susseguirsi di fatti storici e personali privo di potenza emotiva e di slancio narrativo.

Un atto notarile testamentario, in cui si catalogano i beni del defunto lasciati in eredità ai discendenti, ha una forza evocativa maggiore, partendo dal presupposto che un testamento non ha la presunzione di ergersi a opera letteraria.

L'opera in questione, invece, è una minutaglia infinita – cabine a gettoni, costruzioni Lego, lavatrici, televisori, auricolari, walkman, ecc. ecc. ecc. – che si fonde in maniera frammentaria e sempre didascalica ai fatti del ‘900 – la Liberazione, l’emancipazione femminile, la caduta del muro di Berlino, le Torri Gemelle, ecc. ecc. ecc.

La descrizione minuziosa delle fotografie personali dell’autrice – via via che gli anni passano – batte il tempo monotono del racconto, scritto in terza persona e quindi in maniera ancora più impersonale e fredda. Un tempo lento, snervante, noioso e petulante. Una ripetitività che, unita alla retorica della ricostruzione storica e alla totale assenza di fabula, annienta la pazienza del lettore.

Se è nell’originalità dello stile la fortuna letteraria del romanzo e della scrittrice, ci si dovrebbe chiedere, per onestà intellettuale, se non venga prima Carlo Conti, di Annie Ernaux. O, addirittura, se non fu Max Pezzali l’antesignano di questo tipo di narrazione – didascalico-evocativa – quando nel lontano 1996 ci emozionava elencando puntualmente il grande Real, Ralph Malf, le immense compagnie e i Roy Rogers come jeans. Max Pezzali riuscì nell’intento di bloccare il tempo – gli anni '80 – ancorandolo non solo alle parole ma all’emotività di una canzone pop divenuta un classico. La Ernaux, mancando totalmente di quell’emotività nella stesura de Gli anni, no. Il suo testo non aggiunge nulla a ciò che è già stato detto, scritto, fotografato, catalogato e messo da parte del secolo scorso.

E paragonare – come è stato fatto – l'autrice a Elsa Morante o a Proust, mi sembra assai ingeneroso verso la più grande scrittrice italiana nonché verso Proust.

Accostarla a Max Pezzali, invece, ci può stare. Su Carlo Conti dovrei pensarci. È già un passo avanti. Certo è che il titolo del romanzo è un chiaro plagio della canzone di Pezzali nonché della sua idea.

Il romanzo della Ernaux, quindi, perde anche quel connotato che dava un senso al suo successo: l’originalità.


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